I soggetti titolari di valute virtuali sono tenuti ad indicarle nella propria dichiarazione dei redditi.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8269 del 28 febbraio 2025, ha precisato che l’omessa dichiarazione dei proventi derivanti da criptovalute e NFT integra il reato di dichiarazione infedele, quando il loro ammontare oltrepassa le soglie di punibilità previste dalla legge.
La Cassazione afferma che sussistono gli estremi del fumus del reato di dichiarazione infedele - di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 - quando non si indicano, nella dichiarazione dei redditi, i proventi conseguiti tramite l’accredito di criptovalute e NFT. In particolare, ciò accade quando il valore di questi proventi, convertiti in valuta corrente, supera le soglie di punibilità previste dal richiamato art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
Difatti, come evidenziato dalla Suprema Corte, in queste situazioni, l’ammontare di tale accredito costituisce reddito imponibile ai sensi del Testo unico delle imposte sui redditi.
L’art. 53 del T.U.I.R. prevede che sono redditi da lavoro autonomo (e, come tali, suscettibili di generare imposte) “i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno”. Tra le opere dell’ingegno occorre ricomprendere le opere artistiche e, dunque, anche le opere di cybergraphic realizzate nella vicenda in esame.
Inoltre, i proventi conseguiti dalla rivendita degli NFT incorporanti le opere di cybergraphic e le cui transazioni avvenivano tramite criptovalute vanno valutati nell’ambito dell’art. 54 del T.U.I.R..
Infatti, la Suprema Corte precisa che, in base alla legge (art. 1, lett. d), D.Lgs. n. 184 del 2021), la “criptovaluta” deve essere intesa come “valuta virtuale”: cioè, “una rappresentazione di valore digitale” che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è legata necessariamente a una valuta legalmente istituita e non possiede lo status giuridico di valuta o denaro; però, essa è accettata come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente.
Dunque, quando conseguito, il relativo valore è tale da costituire reddito imponibile, una volta operata la sua conversione in moneta.
Nonostante la “volatilità” dei valori espressi in criptovalute, la sommatoria delle criptovalute accreditate sul conto virtuale – espressa secondo il loro valore normale in valuta corrente – costituisce un provento assoggettato a tassazione secondo quanto stabilito dal T.U.I.R.
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